Il disegno di legge prevede ben 23 materie potenzialmente trasferibili alle Regioni ai sensi dell’art.116 Cost. Ai Presidenti di Regione potranno andare competenze in materia di giudici di pace, istruzione, ambiente, beni culturali, rapporti con l’Ue, commercio estero, sicurezza sul lavoro, professioni, ricerca scientifica, salute, ordinamento sportivo, protezione civile, porti e aeroporti, grandi reti di trasporto, energia, previdenza complementare, coordinamento della finanza pubblica, casse di risparmio, enti di credito fondiario e agrario.
Centrale si rivela il tema delle risorse finanziarie che devono essere accompagnate dal processo di rafforzamento dell’autonomia regionale nel rispetto della necessaria correlazione tra funzioni regionali rafforzate e risorse disponibili. Tuttavia, è proprio in quest’assunto che il diavolo si nasconde nei dettagli.
Da tempo Fontana, Zaia e Bonaccini, i tre governatori della secessione camuffata puntano a restare in Italia ma badando solo alla propria gente. Cioè non solo occuparsi di quasi tutte le funzioni svolte ora dallo Stato, nella convinzione di essere più bravi, dalla scuola, ai trasporti, alla sanità. Ma, detto e non detto, anzi più detto che non detto, trattenere i nove decimi delle tasse pagate dai residenti in Regione. Principio in base al quale io più ricco devo essere trattato meglio di te povero. Ricchezza come virtù, povertà come peccato. In un Paese in cui per la parte più ricca lo Stato già spende di più che per la parte più povera, dà più asili nido (per dirne una) a chi potrebbe pagarseli da sé e meno a chi non può pagarseli. Chi sarà in grado di spendere di meno, cioè di essere più efficiente, avrà anche un gruzzoletto da utilizzare a piacer suo. Può sembrare anche un bel progetto, peccato che il calcolo per distribuire le risorse – vera chiave del sistema dell’«autonomia differenziata» – rischia di essere la media pro capite nazionale, che come tutte le medie non centrerebbe il problema. Perché Regioni come la Basilicata dove la sanità costa di più per motivi storici e territoriali, dovrebbero accontentarsi della media; mentre Regioni come la Lombardia, dove la maggiore efficienza rispetto al resto d’Italia abbassa il costo medio, incasserebbero di più. Se tutto fosse così, questo sarebbe sempre più il Paese in cui ci vuole fortuna anche a decidere dove nascere. Perché se nasci nella parte sbagliata, poi non venire a lamentarti.
In estrema sintesi, il criterio del trasferimento le risorse può essere di tre modi. Un criterio sono i “costi storici” e, se attuato, non cambierebbe nulla rispetto a oggi. Un altro criterio è la media pro capite, e – come detto – sarebbe fortemente discriminatorio per il Sud; infine ci sono i “Livelli essenziali delle prestazioni” Lep, volti a “prezzare” ogni singolo servizio, soluzione migliore, ma sui quali pesano grandi interrogativi sulla capacità di una realistica valutazione dei singoli servizi.
Il sistema dei Lep garantisce tutti al contrario il sistema della media pro capite, previsto nella Legge Calderoli, garantisce le Regioni con i servizi più sviluppati e quindi più finanziati, in altri termini le Regioni più ricche. Insomma chi aveva meno, e ha potuto spendere di meno, avrà meno. Chi aveva di più sempre di più.
Sarà bene tenere sotto controllo il cammino di questo progetto, che il Parlamento dovrà approvare a maggioranza assoluta, cioè con legge rinforzata. Perché è vero che, in termini astratti, avvicinare la spesa al territorio può essere considerato per certi versi positivo e stimolante, ma è vero anche che funzioni e servizi pubblici come quelli dell’Istruzione, della sanità o delle infrastrutture, una volta regionalizzati, metterebbero a rischio la tenuta dei programmi e degli indirizzi strategici con un prevedibile effetto caos rischiando di allargare il divario tra un Nord con sempre più risorse e un Sud sempre più povero, penalizzando soprattutto quelle Regioni, come la Basilicata e la Calabria a bassa densità abitativa e con un territorio ad elevata fragilità idrogeologica e poco industrializzato.
Al contrario oltre a definire i Lep essenziali occorre costruire un sistema federativo in cui le Regioni, come quelle del Sud, con produzioni maggiori di energia e materie prime rispetto al loro fabbisogno, abbiano vantaggi economici da poter ribaltare sui propri cittadini. Come, ad esempio, il poter gestire in maniera autonoma l’energia, visto che la nostra terra produce molta più energia da fonti rinnovabili del proprio fabbisogno o la gestione in completa autonomia delle risorse minerarie di gas e petrolio, risorse che mette a servizio di tutto il Paese traendo ben pochi benefici. Perché non prevedere, allora, introiti aggiuntivi derivanti dal surplus di produzione energetica e delle risorse naturali.
È bene ricordare che “Un’evoluzione del Mezzogiorno sarebbe una benedizione per l’Italia e permetterebbe di affrontare meglio il futuro, tutti insieme”; parole non mie ma del giornalista Piero Angela e che dovrebbero essere il fondamento di qualsiasi legge sull’autonomia Regionale.