Accordo per ex Ilva sbagliato: adesso si lavori per una gestione con logiche manageriali

La strada tracciata per il ritorno all’acciaio di Stato a Taranto è profondamente sbagliata. L’auspicio è che, quantomeno, la gestione pubblico-privata dell’impianto sia improntata a logiche manageriali e per obiettivi, evitando che si ripeta quanto successo fino alla metà degli anni ’90, quando fiumi di danaro pubblico sono stati perduti nell’Italsider, poi divenuta gallina dalle uova d’oro non appena privatizzata. Le linee guida della partnership tra Invitalia e ArcelorMittal non raccontano tutto il futuro del polo siderurgico tarantino. Ciò che traspare, in modo chiaro, è l’agonia di questo pachiderma che mostra tutti i segni del tempo, sorretto dall’alto quando sta per rassegnarsi al suo declino. Adesso occorrono segnali immediati, chiari e netti sul fronte ambientale, sul rilancio dell’attività industriale e sulla ricucitura del rapporto con la città, difficile se non del tutto inesistente.
È il momento di investire su una siderurgia compatibile con il territorio, intercettando e valorizzando i tanti fondi europei in arrivo. Altrimenti, le nubi, reali e metaforiche, che si addensano sulla città e sull’impianto permarranno ancora a lungo. Le prime sono quelle con cui sono tristemente abituati a convivere i cittadini tarantini, in primis gli abitanti del quartiere Tamburi, prima linea di una guerra che ha fatto troppe vittime senza celebrare alcun vincitore. Le seconde sono legate alla manutenzione degli impianti, carente come denunciato a gran voce dai sindacati, verosimilmente causa di una situazione kafkiana che racconta, nel biennio 2019-2020, un aumento dell’inquinamento a fronte di un calo produttivo. I dati su Taranto e gli studi epidemiologici condotti negli anni hanno sentenziato l’incompatibilità della produzione siderurgica, così come avviene oggi, con la Città dei due mari.
Dunque, il prossimo piano industriale ponga al centro salute e prospettive di vita di migliaia di cittadini, che devono tornare a essere spettatori paganti di un film già visto per decenni: in siderurgia esistono tecnologie moderne come i forni elettrici alimentati con preridotto o ibride con alimentazione anche a idrogeno, che renderebbero l’acciaio molto più sostenibile di quello prodotto oggi a Taranto. Questa visione, tuttavia, stride con l’idea di chi vorrebbe combinare il forno elettrico con quello tradizionale, addirittura riportando in vita l’AFO5, il più grande di tutto il Vecchio Continente.
Nel tentativo di contemperare l’esigenza occupazionale con quella ambientale è, quindi, da prendere in esame anche la possibilità di chiudere l’area a caldo, decisione che potrebbe apparire intransigente ma che, per il siderurgico di Genova, è stata adottata riducendo l’inquinamento della città mantenendo un’attività industriale economicamente sostenibile.
Un altro nodo che fatica a sciogliersi è quella del potenziale “concorrente in casa”: la partecipazione di ArcelorMittal nel capitale della nuova compagine societaria è oggi paritetica con lo Stato ma, fra due anni, sarà di minoranza. Come si potrà gestire la fabbrica gomito a gomito con un attore che, da una parte sarà socio e, dall’altra, concorrente sul mercato europeo e mondiale, con diversi centri di produzione in Europa? Si riuscirà a condividere strategie produttive, commerciali e sugli acquisti, quando nel proprio consiglio di amministrazione siederà un partner ‘avversario’ nel “Risiko” dell’acciaio planetario? Ai posteri l’ardua sentenza. Politiche e posteri a parte, un rinnovato e sostenibile impianto siderurgico deve essere al centro del rilancio di Taranto che, però, non dovrà più dipendere solo dall’acciaio. La Città dei due mari ha potenzialità enormi legate al suo porto – a mio avviso in grado di divenire il più importante hub delle merci nel Mediterraneo -, alla sua storia e alle sue bellezze, che possono renderla meta turistica tra le più apprezzate del Sud.

On. Gianluca Rospi – deputato e presidente di Popolo Protagonista

No comments
Leave Your Comment

No comments